La Società degli Ingegneri della Bolivia (SIB) ha appena organizzato un “Vertice sull’energia” di tre giorni a Santa Cruz con tre assi: idrocarburi, generazione di elettricità ed economia del litio, un elemento essenziale delle batterie elettriche.
Il contenuto dell’evento è stato essenzialmente tecnico e scientifico, dato il livello degli assistenti. Erano presenti relatori nazionali e internazionali, autorità del settore e analisti, le cui presentazioni sono disponibili sulla pagina Facebook de SIB-Santa Cruz.
Fin dall’inaugurazione si è sentito il “lamento” sulla gestione degli idrocarburi da parte dei governi del MAS, dall’approvazione della legge 3058 all’attuale collasso del settore.
Vorrei sottolineare l’intervento pungente del Governatore di Santa Cruz, davanti a un viceministro che non smetteva di annuire, e la presentazione energica della Fondazione Jubileo che ha lasciato il pubblico con un misto di rabbia per il passato sprecato e di dubbi sul futuro di questa importante fonte di reddito e di energia.
Il presidente della compagnia statale YPFB è intervenuto fugacemente, quasi alla fine del Summit: oltre ad unirsi al “epicedio” (coro greco di lamenti) per il passato sprecato (“io non c’ero“, ha precisato) e a demarcare le sue responsabilità per la crisi cronica dei combustibili liquidi (“YPFB non maneggia le divise per le importazioni dei carburanti“), ha mostrato un ottimismo traboccante per il pozzo Mayaya da cui si sono estratte, invece di idrocarburi, informazioni preziose per eventuali esplorazioni future.
Più tranquilla risultò la giornata dedicata alla generazione elettrica, anche se non è passato inosservato il rischio di un aumento clamoroso (180%) delle tariffe elettriche quando il Paese (e Santa Cruz in particolare) dovrà importare gas naturale per le centrali termoelettriche. Ci sono diversi progetti idroelettrici che sono in ritardo per vari motivi (tra cui la corruzione) e che potrebbero mitigare la crisi incombente. In ogni caso, c’è unanimità nel chiedere regole che garantiscano una maggiore partecipazione del capitale privato all’urgente transizione energetica del Paese.
L’ultimo giorno, grazie all’intervento di professionisti provenienti da Bolivia, Cile e Argentina, il lamento si è spostato sul litio: è stato chiaro che la tecnologia di estrazione diretta (LDE) è la più appropriata per le saline boliviane, che continuano ad essere sopravvalutate.
Per quanto riguarda i modelli di sfruttamento, ci sono due correnti nel Triangolo del Litio: quella dell’Argentina, che, attraverso le sue Province, ha concesso a diverse società private anche la stessa salina, riscuotendo importanti tasse sui profitti, e quella di Cile e Bolivia che, con marcate differenze, esercitano un controllo diretto su questa risorsa “strategica”, spesso in partnership con aziende private. In quest’ultimo caso, l’accento è posto sulle royalties e sulla partecipazione agli utili.
Tuttavia, mentre in Bolivia non abbiamo ancora una Legge sul Litio, il Cile ha approvato una Strategia Nazionale sulla base della quale ha rinegoziato i contratti, fissando, a seconda del prezzo internazionale, le royalties dal 6,8% al 40%. Per non stuzzicare l’appetito di Potosí, c’è da dire che il costo di produzione di una tonnellata di litio nel Salar de Atacama non raggiunge i quattromila dollari, mentre a Uyuni è tre volte superiore. In ogni caso, la realtà è che i nuovi investimenti preferiscono l’Argentina, a causa della quantità di risorse evaporitiche e del clima imprenditoriale favorevole.
Infine, c’è stato un consenso sul fatto che nei prossimi 10 anni non assisteremo a un aumento spettacolare del prezzo del carbonato di litio, il che lascia economicamente insostenibili, a parte i rischi ambientali e sociali, i contratti che attendono l’approvazione da parte dell’Assemblea Legislativa della Bolivia.