Blog de Francesco Zaratti

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La massima che “la carità comincia da casa” trovò nei teologi medievali una sistematizzazione, l'”ordo amoris“, secondo cui il cristiano deve amare tutti, amici e nemici, senza esclusioni, ma in modo ordinato, cominciando da quelli più vicini da vincoli di sangue, di vicinato e di amicizia, poi vengono quelli dello stesso popolo e dello stesso paese; e così via.

Gli ebrei lo hanno inteso così nelle Scritture e lo concepiscono ancora oggi, anche se la Bibbia non si stanca mai di ricordarci che Israele fu un popolo nomade e straniero e quindi ha l’obbligo di aiutare “gli altri”.  Allo stesso modo, l’amore per gli “altri” richiede, nel Vangelo, di amare anche i propri nemici, ma non a preferenza dei “nostri”. Tuttavia, Gesù ci ha insegnato ad amare tutti coloro che “qui e ora” hanno bisogno del nostro amore.

La teologia dell’ordine dell’amore è stata usata dal vicepresidente degli Stati Uniti J.D. Vance, un cattolico convertito, per giustificare le deportazioni di massa degli immigrati clandestini, ordinate dal presbiteriano Donald Trump, come a dire: li amiamo sì, ma lontani da qui, perché vogliamo bene di più al nostro popolo.

La risposta a questa argomentazione non si è fatta attendere: prima i vescovi cattolici e recentemente papa Francesco, attraverso una lettera indirizzata ai vescovi statunitensi, hanno corretto la “teologia” di J.D. Vance: “L’ amore cristiano non è un’espansione concentrica di interessi che si estendono gradualmente ad altre persone e gruppi. Il vero ordo amoris che deve essere promosso è quello che scopriamo meditando costantemente sulla parabola del “Buon Samaritano”… Meditando cioè sull’amore che costruisce una fraternità aperta a tutti, nessuno escluso”. Insomma, un amore selettivo, che ama i miei “contro” l’altro, non è amore cristiano.

Non c’è bisogno di essere indovini per prevedere che i rapporti tra i due, Francesco e Donald, non saranno armoniosi, come non lo erano nel primo mandato di Trump, quando il papa arrivò ad affermare che chiunque costruisca un muro per tenere fuori i migranti al posto dei ponti “non è cristiano”. Francesco ribadisce nella Lettera citata: “L’atto di deportare persone che in molti casi hanno lasciato la propria terra per motivi di estrema povertà, insicurezza, sfruttamento, persecuzione o grave deterioramento dell’ambiente, ferisce la dignità di tanti uomini e donne, di intere famiglie, e li pone in uno stato di particolare vulnerabilità e indifesa”. E continua: “Ciò che è costruito sulla base della forza, e non sulla base della verità sull’uguale dignità di ogni essere umano, comincia male e finirà male”.

A sua volta, la coraggiosa vescova episcopale Marianne Edgar Budde ha chiesto al nuovo presidente di mostrare compassione nell’esercizio del potere, provocando il malcelato dispiacere del magnate.

E non si tratta solo delle deportazioni, ma di tutti gli aiuti umanitari degli Stati Uniti: USAID, OMS, emergenze.

È noto che i cattolici americani costituiscono una comunità per lo più conservatrice, che ha visto in Trump un paladino dell’antiabortismo, della libertà religiosa, della famiglia tradizionale e del freno alla cultura “woke”, la peste dei nostri tempi. Questa simpatia, che ha avuto una potente influenza sul risultato elettorale, è pronta a dimenticare la serie di valori anticristiani personificati dal suo attuale presidente: la scandalosa testimonianza della sua vita, il culto della ricchezza, riflessa nell’inedita plutocrazia dominante, e l’abbandono dei valori che per due millenni hanno forgiato in modo indelebile l'”ordo valorum” dell’Occidente: umiltà, perdono, compassione, solidarietà, dignità umana, distacco dalla ricchezza e, soprattutto, amore per la verità.

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