Blog de Francesco Zaratti

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Parafraso una frase di mia nonna per indicare che gli avvisi non sono critiche negative ma sinceri desideri per evitare i problemi che si avvicinano.

L’attuale crisi degli idrocarburi in Bolivia non è il prodotto di un meteorite caduto dal cielo, o di un terremoto imprevedibile, ma il risultato naturale di errori, omissioni, dilettantismo e persino corruzione, di coloro che hanno guidato il settore energetico di cui tutti conosciamo fin troppo bene i nomi.

Dall’entrata in vigore della legge 3058 sugli idrocarburi e del DS 28701, diversi “opinionisti” (definizione spregevole degli analisti del settore coniata dall’attuale presidente Luis Arce) hanno allertato il governo e l’opinione pubblica sui pericoli che incombono sul settore più importante dell’economia nazionale e dei governi subnazionali. Raccontare tutti i segnali (a volte grida) d’allarme è argomento di una tesi di laurea (di giornalismo o psichiatria), quindi in quanto segue, mi limiterò a citare gli avvertimenti di alcuni analisti, indicando i relativi link.

Già nel 2007, agli albori della “nazionalizzazione”, l’avvocato Víctor Hugo Carazas  aveva messo in guardia, insieme all’allora Camera degli Idrocarburi, sull’assenza di certezza giuridica per “innescare” gli investimenti che le compagnie petrolifere erano disposte a fare, ma che nel tempo si limitarono agli investimenti nella estrazione. Insomma, c’era così tanto gas che non c’era bisogno di cercarne di più, pensavano i nazionalizzatori.

Di fronte alla proliferazione di strategie e piani di sviluppo, Raúl Velásquez della Foundazione Jubileo, nel 2012 ha interpellato il governo sul basso budget che YPFB e le aziende hanno stanziato per l’esplorazione ed è tornato alla carica nel 2018 per avvertire del deficit di quasi 14 milioni di metri cubi di gas per raggiungere gli obiettivi di questi piani chimerici.

A sua volta, il mancato Carlos Miranda P.  nel 2016 denunciava con cifre e argomenti il fallimento delle nazionalizzazioni e i rischi di insistere su quella politica. Sulla stessa linea, Hugo del Granado C. spiegò fino allo sfinimento perché l’esplorazione era sulla strada sbagliata e lasciata “alla fortuna di una perforazione riuscita”.

Per quanto riguarda le questioni del “downstream”, Susana Anaya, una autorevole professionista costretta ad espatriare, ha riflettuto sull’insostenibilità del mantenimento dei prezzi interni sovvenzionati e sulle conseguenze sull’esplorazione. Già tre anni fa era evidente che i proventi della vendita del gas non sarebbero stati sufficienti nemmeno a compensare il sussidio per il carburante.

Allo stesso modo, Mauricio Medinaceli, un altro brillante economista del settore costretto all’espatrio, nel suo blog ha dimostrato chiaramente l’assurdità della struttura dei prezzi del mercato interno e la sterilità delle misure improvvisate che sono state prese per rattoppare gli errori del passato.

Le interviste e gli scritti di Álvaro Ríos Roca, che mettevano in guardia sulle incongruenze della politica del gas, riempirebbero un volume. Il suo grido d’allarme è stato costante e solido sull’importanza dell’esplorazione, sull’inadeguatezza di normative correttive, sull’imminente carenza di gasolio, benzina e anche GPL e gas, e sulla metamorfosi da paese esportatore a paese importatore e trasportatore di energia.

Da parte mia, attraverso  rubriche di opinione  e interviste, ho suggerito misure strutturali per fermare il collasso dell’economia del gas e la conseguente crisi energetica. L’opzione di una transizione energetica graduale, una necessità urgente per la Bolivia, mi ha portato a sviluppare nel 2020, insieme a colleghi di spicco, una Roadmap  per svolgere questo compito.

Insomma, sono stati avvertiti opportunamente e ripetutamente ma, come si diceva 2000 anni fa, «non c’è peggior sordo di chi non vuole ascoltare» (Mt 13,14) e lascia un paese in rovina.

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