Blog de Francesco Zaratti

Comparte el artículo

Se mi chiedessero quali prove della resurrezione di Gesù Cristo esistono, ne penserei solo tre, e nessuna di esse conclusiva se isolata dalla fede: il sepolcro vuoto, le apparizioni del Risorto e una sorta di “principio antropico” (l’espansione e la sussistenza della Chiesa cristiana per duemila anni, nonostante lei stessa). Di queste, la tomba vuota può avere spiegazioni non necessariamente soprannaturali, mentre le apparizioni, narrate tardivamente, hanno uno scopo che va oltre la “dimostrazione” della resurrezione.

In particolare, le tre apparizioni narrate da san Giovanni cercano di far rivivere, quasi “resuscitare” la fede delle comunità cristiane di seconda generazione, dopo la morte dei Dodici Apostoli, in un contesto meno “idilliaco” con l’Impero Romano rispetto ai primi tempi. In quel periodo, infatti, la Chiesa stava subendo le prime persecuzioni e affrontando conflitti interni (“eresie”, le chiamiamo noi) che scuotevano la fede. Tutto ciò generò un clima di scoraggiamento e di pessimismo, di fronte al quale bisognava ricorrere all’esperienza post-pasquale dei discepoli e alle parole di Gesù Cristo stesso.

Non significa altro l’episodio di san Tommaso, la cui morale è “Beati quelli che credono senza aver visto” e qualcosa di simile viene insegnato dall’ultima apparizione sulla riva del lago di Galilea, dove Gesù, senza farsi riconoscere, incoraggia i discepoli rattristati, che non avevano pescato nulla durante un’intera “notte” di lavoro, a gettare di nuovo le reti, ottenendo così una pesca eccezionale (Gv 21,1-13). Sembra che Gesù stia dicendo loro: “Coraggio! Sono qui, anche se non mi riconoscete, per sostenervi nella vostra missione”.

Provo gli stessi sentimenti di sconforto, insieme a molti boliviani, per il presente e il futuro del paese, quando vediamo intorno a noi solo segni di oscurità: violenza dilagante, corruzione, ingiustizie istituzionalizzate, incompetenza ovunque, femminicidi, anomia e una netta regressione etica della società che sembra rendere inutile ogni sforzo per cambiare quel cupo panorama. 

Ma, proprio in questo contesto, appare qualcuno, “sulla riva del lago”, che con i suoi gesti e le sue parole ci restituisce ottimismo e speranza. Quel qualcuno si è appena manifestato in me grazie ad un breve video della vita e delle conquiste di un amico oculista, il dottor Joel Moya, che per anni, accompagnato dalle sue brigate di “guerrieri contro la cecità” ha restituito la vista a centinaia di umili persone nelle campagne affette da cataratta e altre malattie oculari.  attraverso operazioni gratuite svolte nelle stesse comunità contadine.

Joel, nato a Vallegrande e cresciuto a Uncía, ha un master e un dottorato, ha diretto per anni l’Istituto di Oftalmologia, ha collaborato con il suo team nelle campagne della Radiazioni Ultraviolette tra il 1997 e il 2015 e, soprattutto, lo ha fatto con grande umiltà e spirito di servizio. Quanti boliviani conoscono la testimonianza del servizio disinteressato al Paese del dottor Moya e, ne sono certo, di tanti altri boliviani esemplari, che ridanno l’anima alla speranza per il futuro del Paese? Altri funzionari pubblici esemplari, come Juan Antonio Morales, sono stati “premiati” dallo Stato con persecuzioni giudiziarie e altri, come José María Bakovic, addirittura con la morte. Non so se il mio amico Joel Moya qualifica per la svalutata onorificenza del “Condor delle Ande”, se mai gli interessasse avendo ricevuto qualcosa di molto migliore: la gratitudine di “Dio lo ripagherà, dottore” dal più umile dei suoi pazienti. Quello che sì so è che almeno un “Colibrì delle Valli” concesso dalla maggioranza silenziosa dei boliviani sarebbe più che meritato nel suo caso.

Comparte el artículo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *